La risposta giusta è la D:


La diagnosi mi sembra perfetta. Definisce in modo crudo e sintetico quanto è avvenuto. Le altre risposte, anche se diverse tra loro, avevano invece un comune denominatore: il tentativo di scaricare su qualcun altro, su una controparte politica, la responsabilità di un complessivo arretramento culturale e sociale, di una strategia del gambero a cui tutte le principali forze in gioco hanno attivamente collaborato.
La diagnosi è aggiornata al mese di maggio del 2018 e davvero non so che cosa succerà in futuro. Ma anche se decidessimo finalmente di invertire la direzione di marcia, ci vorrà molto tempo per ritornare all'orizzonte di crescita che abbiamo abbandonato. In particolare in campo educativo: la pedagogia del gambero è in atto, ha messo radici profonde, per estirparla occorre un lungo lavoro, comunque vada.
Mario Ambel, nel testo che ho preso a pretesto per questo test d'ingresso, ci dà qualche idea. Sentiamo cosa dice:
"Per capire qual è la direzione giusta, basta fare, ogni volta, il contrario di quel che si è fatto: ritornare a una autonomia della responsabilità e della cooperazione e non della competitività e dell’individualismo; abolire i voti anche nella scuola superiore; promuovere competenze culturali di cittadinanza e finalizzare il progetto educativo alla strumentazione critica necessaria ai cittadini di domani e non alle competenze professionali o pseudotrasversali dei non-lavoratori di oggi; affidare all'Invalsi una priorità di ricerca valutativa e non di valutazione; valutare in modo ragionevole ciò che si è fatto e non fare ciò che qualcuno vuole valutare; ricominciare a distinguere fra attività per apprendere e prove per verificare ciò che si è appreso; promuovere la ricerca e la sperimentazione di scuole e reti di scuole anziché penalizzarle; pensare che il che cosa il come e il perché si insegna e si apprende sono più importanti di come lo si valuta; ritornare alla dignità e alla realtà dei compiti e non inseguire fantomatici compiti di realtà simulate; fare della formazione in servizio una occasione di riflessione e crescita cooperativa per l’efficacia del sistema e non di aggiornamento individuale a pagamento sul mercato di una formazione/business; fare della formazione iniziale la preparazione professionale dei docenti e non il terreno di scontro fra pedagogisti e disciplinaristi; evitare di “capovolgere” la classe ma far funzionare una pluralità di ambienti operativi funzionali all'apprendimento; ricollocare le tecnologie tutte (anche la penna e la matita) nel ruolo di strumenti; migliorare la qualità degli insegnanti invece di andare all'incetta degli insegnanti migliori; abolire l’alternanza scuola/lavoro e affidare alla scuola il compito di preparare a una cultura critica del lavoro e della realtà; mantenere e consolidare la scelta italiana di inserimento delle disabilità nei contesti scolastici senza limitazioni ed evitare di categorizzare e radicalizzare ogni forma di disagio e di difficoltà; ecc. ecc. ecc." [Le sottolineature sono mie].
Concordo pienamente. Mi sembra un buon programma per un'inversione di tendenza, con la fine della pedagogia del gambero e il mantenimento (o piuttosto il ritorno) alla scelta italiana di una scuola dell'inclusione e dell'inserimento senza limitazioni. Italiana, ho sottolineato, e non genericamente europea. Infatti, a ben guardare, a limitarne l'azione e le risorse, con crescenti vincoli, è proprio l'Europa (intesa come Ue), in coerenza col suo principio fondativo: la competitività.
Peccato, allora, per quell'eccetera eccetera eccetera, che interrompe il programma proprio sul più bello, davanti alla contraddizione più vistosa, e alla vigilia di una resa dei conti che non poteva non arrivare.
Occorre riprendere e approfondire.

3 commenti:

  1. Dopo la
    nascita del nuovo governo, anche il mondo della scuola è in attesa.
    Sono fiduciosa contrariamente a tutta quella stampa, da Severgnini a Scalfaro e Saviano, che "abbaia" contro il nuovo governo. In risposta a questi "attacchi" posto l'intervista fatta a Federico Rampini:
    "Il mio appello a sinistra e giornalisti??
    Di fare meno il fatal catastrofismo ,come Washington post e democratici facevano con Trump o Brexit. Non è successo nessun giudizio universale.
    Anzi.
    Oggi l'America di Trump viaggia più di quella di Obama, sta raggiungendo la piena occupazione come non succedeva da anni. L'occupazione afroamericana e ispanica è triplicata, al contrario delle sirene radical chic e hollywoodiane.
    E la gente lo vede.
    (..) la sinistra smetta di guardare a borse e spread perché conferma lo scollamento con il popolo così facendo.. Uno scollamento già quasi senza ritorno che sta facendo estinguere la sinistra occidentale (..)
    Le similitudini tra Trump e il fenomeno italiano?!
    Tante.
    Il disagio della classe operaia ,la nuova classe operaia, che si riversa su lega e 5s .
    L'operaio del Michigan come quello di sesto San Giovanni si è distaccato da una sinistra aliena. Basta guardare il
    sito dei dem in USA,sembra il sito dell'ambasciata libanese.
    Ha 15 comunicati per dire la stessa cosa:
    Uno per i gay
    Uno per gli ispanici
    Uno per i gay ispanici

    A furia di andare apparentemente dietro a tutte le minoranze ,ha perso l'identità e i lavoratori per strada.(..)
    Trump come lega/5s ha raccolto il consenso delle vittime di una globalizzazione iniqua e distorta, mentre le sinistre si sono appiattite su un neoliberismo rosé e non si è voltata per venti anni a guardare le masse impoverite che restavano indietro.
    Insomma, mentre entrambi si sono fatti portavoce delle classi popolari, le sinistre radical chic sono ovunque portavoce dei quartieri bene, dove vige ordine e sicurezza, dove l'immigrato è la domestica o il tassista, una sinistra che bolla di razzismo chi davvero è costretto a subire l'immigrazione di massa, che crea concorrenza sleale e una visione a ribasso di diritti e salari.
    Perché, chi ancora parla di "immigrati che fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare", non sa di cosa parla.
    E oggi le sinistre non sanno di cosa parlano..."

    Federico Rampini.

    #piazzapulita

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    1. Venendo a noi, che cosa significa tutto ciò tradotto in termini scolastici? Possiamo dire che lentamente, negli ultimi due decenni, un movimento silenzioso ma continuo ci abbia riportato indietro. Un tempo l’innovazione era parte di un processo collettivo di emancipazione (estensione dei diritti sociali, sviluppo della persona, promozione dell’autonomia). Nella sedicente “Buona Scuola”, al contrario, l’innovazione è organica a un processo di adattamento (adeguamento alla domanda del mercato, alle “sfide della modernizzazione”, alle competenze necessarie al recupero della competitività). Le parole della democrazia sono state poste al servizio di un progetto che non ha più nulla di democratico e di popolare. Il disagio verso questa indesiderata mutazione genetica del sistema formativo è crescente: si capisce che c’è qualcosa che non funziona, e il momento sembra di conseguenza favorevole a un rovesciamento di prospettiva. Ma c’è anche un rischio grave, che consiste nel rigetto delle stesse idee di innovazione e di autonomia, con il conseguente ritorno a una scuola antiquata, anacronistica, autoritaria, ostile al cambiamento.
      Occorre allora che le scuole si ribellino, utilizzando tutti gli spazi di autonomia rimasti aperti, e ampliandoli. In poche parole: fate pure casino, nel vostro plesso, sull’Invalsi, sulle certificazioni che niente sanno certificare, sui voti e sull’elettronica applicata ai registri, che io ci sono.

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    2. Le sinistre si sono appiattite sul liberismo? Certo, si sono appiattite sull'€uropa, che del liberismo è ormai diventata un sinonimo. E porta con sé una vera e propria anti-pedagogia. E il brutto è che in pochi se ne sono accorti in tempo. La comunità scolastica sembra addormentata su un europeismo acritico.
      Non è però sempre così. Per esempio proprio la rivista che Dagnini ha utilizzato per costruire questo test di ingresso ha pubblicato qualche giorno fa una riflessione critica:
      "Fra i ragionamenti possibili attorno alla crisi della scuola italiana è forse anche necessario chiedersi in che rapporto stiano le scelte compiute in questi anni con le Raccomandazioni e le scelte politiche comunitarie".
      E ancora:
      "Spesso, in questi anni, anche su questioni di politica scolastica ci siamo sentiti ripetere, "Lo vuole l'Europa!". Appare venuto il momento di chiedersi se le cose stiano proprio così."
      Vi diamo il link:
      http://www.insegnareonline.com/rivista/scuola-cittadinanza/scuola-italiana-europa
      Segue un percorso piuttosto stimolante, fatto di questioni aperte.

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